Vivian Maier

Dopo una mattinata a scuola e un pomeriggio di relax, anche questa sera è stata dedicata alla fotografia, visto le infinite possibilità che questa città offre. L’appuntamento era con Armando alla PowerHouse, dov’ero già stato per la serata di Alex e Rebecca Webb e anche settimana scorsa per sbaglio. Stavolta la serata era giusta e l’ho capito subito in quanto la sala era piena (ci saranno state una settantina di persone), si pagava l’entrata e non c’era il vino.

La serata era dedicata alla fotografa Vivian Maier, che non avevo mai sentito nominare, ma ho scoperto che quasi nessuno l’ha mai sentita nominare e questo in realtà era il punto centrale della sera.

Nel 2007, allora venticinquenne, John Maloof, mentre collaborava ad una creazione di un libro su Chicago, la sua città, comprò da un archivio per soli 400$ una scatola contenente molti rullini di fotografie (articolo sul NY Times Lens blog). Purtroppo nessuna di queste si rivelò utile per il suo lavoro, ma riguardandole ha capito a poco a poco l’importanza di quanto aveva trovato. John si è trovato per le mani l’intero lavoro di Vivian Maier, stimato tra le 100 e le 150 mila fotografie.

Vivian, nata a New York nel 1926 da madre francese, Vivian è cresciuta in Francia, per poi tornare a New York e da lì a Chicago, dove ha lavorato per oltre 40 anni come bambinaia. È proprio durante questo periodo che Vivian Maier inizia a documentare tutto ciò che vede attraverso fotografie, ma anche filmati e raccolta di articoli di giornali (nel archivio comprato in un secondo tempo John Maloof ha trovato tantissimi classeur contenenti articoli di giornali, apparentemente senza un ordine logico, così come scatole contenente oggetti di tutti i tipi trovati per strada).

La fotografa, mai stata di professione e quasi sconosciuta fino dopo la sua morte nel 2009, ha iniziato a scattare fotografie in bianco e nero con la Rolleiflex, ma nel archivio sono state anche trovate diverse centinaia di rullini a colori. Tutto il materiale ora è gestito dalla Maloof Collection e si può trovare tutte le informazioni sul sito ufficiale, esiste però una seconda collezione, decisamente minore, di proprietà di altre persone.

Finita la presentazione (dove ho comprato il libro…) sono andato con Armando e sua moglie a Hell’s Kitchen, dove c’era l’open house (porte aperte) di ArtCat. L’edificio di sei piani, in precedenza utilizzato dal Hunter College, ora è utilizzato come atelier e spazio espositivo da tantissimi artisti (se ho ben capito circa 200), tra pittori, scultori, fotografi, …
È stato molto interessante fare un giro tra le varie esposizioni ed installazioni, perché a differenza degli altri posti che ho visto fin’ora, questo è decisamente underground!

La serata l’ho finita sempre con Armando, sua moglie e altri amici, in un pub lì vicino, dove abbiamo bevuto una birra (o meglio io una, gli altri di più) e giocato a biliardo.

N.B.: questo post, come pure il precedente, è stato scritto sabato 19 novembre, ma retrodatato per mantenere la continuità delle date sul blog. Giovedì sera ero troppo stanco per scrivere il resoconto e da venerdì siamo senza internet al Kolping (ora sto usando l’iPhone come modem), dopo che siamo stati tre giorni senz’acqua calda (da lunedì a mercoledì sera). Ancora un po’ e organizzeremo Occupy Kolping House!

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